Editoriale novembre

PAVIDI, INDISCIPLINATI E TRADITORI: 50 SFUMATURE DI DIVERGENS.

Editoriale di: Antonio Incorvaia.

In un sistema che mira ad affogare l’unicità individuale sotto un magma di convenzioni sociali, rivendicare la facoltà di essere “contro” significa rifiutare le regole o credere ancora di poterle riscrivere?

Che ne siamo razionalmente coscienti o meno, viviamo in un periodo storico governato da un macroscopico paradosso. Da una parte, accettiamo indifferenti che tutto intorno a noi si omologhi alla sterilità conservatrice di quelli che benpensano; dall’altra, invece, non tolleriamo più nemmeno una pesca (o una bambina, o una coppia separata) nello spot di un supermercato senza riversare sdegno e indignazione ovunque ce lo consenta una tastiera. Investiamo ogni giorno tonnellate di energie per combattere battaglie inutili e finiamo per soccombere inermi quando si tratta di vincere una guerra. E, soprattutto, ci adoperiamo molto di più per togliere libertà agli altri anziché per esercitare e rivendicare la nostra.

Sicché, nel momento in cui ci troviamo di fronte qualcuno che invece – come dovrebbe accadere di logica, se non di norma – si comporta nel modo contrario, siamo portati a pensare che si tratti di un errore di sistema e, come tale, lo etichettiamo automaticamente in termini ingiuriosi.

Chi si oppone all’odio digitale è un pavido.

Chi si oppone al dispotismo reazionario è un indisciplinato.

E chi si oppone all’aziendalismo tossico, generalmente, è un traditore.

Ovunque giriamo lo sguardo, insomma, vediamo nemici immaginari la cui unica colpa è quella di rifiutare lo status quo.

Eppure una volta non era così.

Una volta i pavidi suscitavano empatia, gli indisciplinati suscitavano stima e i traditori… beh, i traditori hanno sempre suscitato un fascino biblico. Ma era proprio questo loro essere pavidi, indisciplinati e traditori a fare la differenza. A renderli incancellabili.

Quanti artisti, solo per citare una categoria tra le più sensibili al tema, hanno scritto pagine di Storia anche per quanto divergenti sono stati come persone? C’è chi ha osteggiato regimi, chi ha denunciato soprusi, chi ha dissacrato dogmi, chi ha sconfessato tabù e chi ha “semplicemente” rifiutato lavori o favori. Chi ha fatto delle sue paure un punto di forza. Chi ha fatto del suo dissenso un volano di consenso. E chi ha fatto della sua infedeltà un viatico di salvezza (non solo individuale).

Oggi, invece, non sappiamo più ribellarci né apprezzare chi ancora ci prova.

I pavidi, gli indisciplinati e i traditori con cui abbiamo quotidianamente a che fare sono figure che vorremmo dimenticare che siano mai esistite (spesso riuscendoci). Le nostre paure sono diventate strumenti di oppressione. Il nostro dissenso è diventato liquame che genera altro liquame. E la nostra infedeltà è diventata truffa, raggiro, mera speculazione.

Certo, potrà suonare come la solita, abusata, melliflua retorica del «Si stava meglio quando si stava peggio». Eppure, che diamine, guardiamoci avanti: siamo davvero arrivati fin qui per impedirci di non andare oltre? È così gratificante l’idea di essere intrepidi, disciplinati e compiacenti quando non si fa che alimentare un sistema stantio a un passo dall’implosione? O sarebbe forse il caso di (ri)scoprirci pavidi, indisciplinati e traditori – in una parola: Divergens – e concederci tutti i possibili margini di evoluzione che mai come in questo momento l’Universo reclama?

Purtroppo, il rischio è che presto non sarà più una questione di scelta, ma di sopravvivenza. Che è ben altro risultato rispetto all’incancellabilità.

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Antonio Incorvaia