editoriale Antonio Incorvaia Il futuro è una start-up

IL FUTURO è UNA START-UP: (D)ISRUZIONI PER L'USO.

Editoriale di: Antonio Incorvaia

Saltate ormai tutte le logiche a cui eravamo abituati fino a qualche anno fa, l’unica soluzione sembra essere quella di lasciarsi guidare dal cambiamento e (cercare di) trarne il massimo beneficio. Anche a costo di diventare continuamente persone diverse.

 

Noi boomer ce la ricordiamo bene, quella frase. Scritta a caratteri cubitali sui nostri diari (già a partire dalle scuole medie, quando forse non capivamo neppure cosa significasse realmente), ci faceva sentire forti, impavidi, eroici. Ci faceva sentire grandi.
«Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo».
I più audaci preferivano la variante «Vivi come se dovessi morire domani, pensa come se non dovessi morire mai», ma il concetto non cambiava. Perché era proprio così che ci piaceva immaginarci: sempre sull’orlo del precipizio, eternamente in bilico tra tutto e il contrario di tutto, sedotti dal “qui e ora” e abbandonati al “mai più”.

Poi, però, sull’orlo del precipizio è finita che ci siamo trovati davvero, con buona pace di Seneca e di tutti i suoi fautori. È scoppiato il Covid, è arrivata la crisi ed è iniziato un processo regressivo senza precedenti – quantomeno a memoria nostra – in cui abbiamo perso qualsiasi forma di potere, da quello decisionale a quello di acquisto. In cui ci sfuggono di mano le regole, le ragioni, gli obiettivi. In cui riconosciamo al volo ciò che è No, ma non riconosciamo affatto ciò che è Sì.
E allora l’idea di “vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo” non è che funzioni più così tanto, perché «è praticamente ovvio» (cit.) che gli ultimi giorni stanno rischiando di diventare definitivi.
Ciò nonostante, come direbbe il Saggio, se non puoi cambiare il mondo puoi però cambiare il modo di guardarlo. La soluzione, in fondo, è tutta lì: iniziare a vivere ogni giorno come se fosse il primo. Svegliarci la mattina e vederci diversi da quando siamo andati a letto. Abbracciare il caos per liberarci da convenzioni e status quo che, tanto, scadono già 24 ore dopo.
Pensarci start-up.
Disegnare il Futuro non più in continua evoluzione, quanto in continua trasformazione. Concederci il privilegio che sia vera (o che sia giusta) un’ipotesi ma sia vera (o sia giusta) anche l’ipotesi opposta. Sapere che quello che conta non è la destinazione e forse non è neanche il viaggio, ma è soprattutto partire.
In Italia, purtroppo, continuiamo a soffrire il retaggio culturale secondo cui «chi cambia la vecchia per la nuova, peggio trova» (cit.). Il che, purtroppo, non ci preclude solamente il valore generativo del cambiamento, ma altresì – per assurdo – quello dell’errore, come se sbagliare fosse un crimine e non, piuttosto, un passaggio obbligato verso il miglioramento. Non a caso, sempre più aziende oggi invocano l’Eccellenza come un valore (cioè come un dato di fatto) anziché come uno scopo (cioè come una tensione) al quale pervenire nel tempo.
Ecco: è arrivato il momento di sbagliare. Di essere imperfetti, di sentirci grandi perché possiamo diventarlo, non perché lo siamo già (o perché citiamo Seneca a caratteri cubitali sul diario).

Non è più tempo di ragionare come se tutto dovesse essere sempre una linea retta ma, anzi, è tempo di ragionare come se niente lo fosse (e niente, in effetti, lo è). Non è più tempo di aggrapparci alla retorica della stabilità come unica forma di resistenza – di sopravvivenza – ma, anzi, è tempo di educarci al potenziale dell’instabilità. Non è più tempo di credere che sia sufficiente «fare come si è sempre fatto» ma, anzi, è tempo di capire che sia necessario fare come non si è mai fatto e forse non si rifarà più.
È questo che, oggi, dovremmo imparare ad accettare: che la conservazione della specie passi per la distruzione di tutto ciò che finora le ha permesso di riprodursi.

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ANTONIO INCORVAIA