Valeria Bonalume intervista

VALERIA BONALUME: ARE WE HUMAR OR ARE WE DANCERS?

Performer, insegnante, consulente e campionessa italiana di pole dance

Intervista di: Egidio Alagia.

Abbiamo conosciuto Valeria Bonalume nel 2019, all’interno di un evento a Milano: noi a raccontare di fallimenti (“in 60 secondi”, come nel film), dati (quelli “big”, che piacciono tanto nel digital) e pirati (sì, anche di pirati) e lei a raccontarci di… lei.

L’abbiamo poi portata nuovamente sul palco di Divergens, ieri sera, in veste di host durante la serata del nostro format “Disruption, start with Z”.  Che esordio!

Il suo profilo – campionessa di pole dance e istruttrice ma anche TEDx speaker, coach, performer, insomma: una matrioska di scoperte. Parlate con lei 100 volte e ne troverete 100 sfumature diverse – ci piace particolarmente e ci diamo appuntamento per un caffè.

Continuiamo a frequentarci. Al secondo appuntamento si presenta con un libro sul cambiamento: “È un regalo, devi leggerlo”, e ci spiega quella che chiama Traslocoterapia.

La racconterà anche all’interno di una data di FDO, in realtà, perché Valeria vive con l’esigenza di cambiare. Stare ferma non fa per lei.

E infatti danza, lo ha fatto ai massimi livelli ma con un percorso non così scontato: “La passione per la danza è nata dalla necessità di trovare un mezzo espressivo. Io comunico con il movimento, mi sono dedicata prima alla ginnastica ritmica e poi alla danza, consapevole di volere esprimere me stessa attraverso il movimento”.

Cosa significa per te essere Divergens?

Io penso che una persona non debba neanche dirselo. Chi è sopra le righe, un ribelle, chi fa cose diverse rispetto alla massa lo fa perché è mosso da una passione, quasi un bisogno, che sente da sempre. Non si diventa “Divergens” da un momento all’altro, è quel motore che ti porta a fare determinate scelte piuttosto che altre. Mi piace essere nomade, pronta a partire quando la mia spinta creativa interiore chiama. Serve coraggio per essere Divergens.”

E qual è, allora, il vero nemico da combattere per essere Divergens, secondo te?

“Il nemico più grande da combattere per un Divergens è sé stesso. Forse lo è per tutti.

Ma chi fa le cose in modo diverso deve sapere cosa questo comporta, non deve adattarsi per essere uguale agli schemi per paura di non corrispondere a nessuna etichetta.

E questo può farti entrare in crisi a causa di una perdita di identità: è successo anche a me, con il mio lavoro.”

Sì, perché Valeria non “pratica” semplicemente pole dance, ma ha vinto competizioni nazionali e internazionali, ha insegnato a centinaia di allieve ed allievi, attraverso la pole dance ha fatto performance diversissime, da spot pubblicitari a palchi davanti a migliaia di persone.

Poi succede che, come per tutti gli atleti, il corpo inevitabilmente le presenta il conto. Quindi le serve trasformare il suo bagaglio di competenze in qualcosa che possa dare risposta nuove esigenze, cercando di aiutare le persone – “E perché no? Un domani anche aziende e team” – e mettendo sul tavolo gli ingredienti che le hanno permesso di arrivare dov’è arrivata: passione, spirito di sacrificio, creatività, studio.

E lo fa non cambiando il suo percorso, ma aggiungendo al suo percorso la voce, le parole, come nuovo strumento comunicativo.

Se ci pensiamo, possiamo ricondurre ogni successo professionale (e dunque anche imprenditoriale) a tre diversi fattori. E ne servono tre, non due, non uno.

Il primo è la passione, il secondo è la competenza, il terzo è la creatività.

Ci immaginiamo questi tre fattori come tre lati di un triangolo equilatero, in cui nessuno è più importante di un altro.

Essere appassionati e creativi può fare di noi dei sognatori, ma senza pragmatismo non si va da nessuna parte. Avere le idee geniali sotto la doccia è facile, sono capaci tutti.

Competenza e passione possono generare uno studioso, ma senza la scintilla creativa manca quella spinta generatrice che può portare alla creazione del nuovo. Dell’Arte.

Valeria non ha ottenuto quello che ha ottenuto solo perché tecnicamente sapeva cosa fare (quello si può imparare) oppure perché amava danzare attorno al palo, come tante altre appassionate. Valeria ha inserito una componente creativa fondamentale che nasce dal suo percorso, dalla sua volontà di comunicare attraverso il corpo, il movimento, quella componente creativa che le ha permesso di portare la sua danza oltre quello che una persona può vedere.

Ad esempio, con il suo Fattore V.

È un progetto che nasce con l’idea di voler rendere più consapevoli le persone delle proprie potenzialità attraverso l’utilizzo del movimento, nel mio caso la disciplina artistica della pole dance. Ognuno di noi ha il proprio Fattore V, è un elemento libero e personale che tutti possiamo riconoscere e far evolvere nelle nostre vite. Imparare dal nostro corpo, osservare come si esprime per apprenderne il linguaggio può aiutarci a capire meglio chi siamo ed essere davvero autentici”.

Essere così alla ricerca del cambiamento, del nuovo, non influenza la tua vita?

Influenza la mia vita perché sono costantemente alla prova, in movimento. Di conseguenza mi rende difficile rientrare in uno schema, in un’etichetta: faccio fatica a identificarmi, ma penso che questo rappresenti il mio valore. Non ho mai separato il mio lavoro dalla mia vita, chi lavora con le emozioni, con l’adrenalina, la disciplina, è abituato al mettersi in gioco costantemente. Mi sento come fossi sempre su un palco. Il mio lavoro ha amplificato la mia capacità di ascoltare il mio corpo e, sono sicura, di ascoltare gli altri”.

Nella sua vita ti è capitato di dire dei “No”, e secondo te dovremmo imparare a farlo più spesso?

Assolutamente dovremmo imparare a dire più di No! Io, da parte mia, ho sempre detto troppi “Sì” agli altri e troppi “No” a me stessa. La mia disciplina, la ginnastica, mi ha portato a una forte rigidità verso me stessa, altrimenti non avrei potuto sopportare tutta una serie di allenamenti molto pesanti né a reggere le emozioni. E ho detto molti sì anche a persone, lavori, che non mi interessavano per paura di non essere riconosciuta, di non essere vista.

È importante dire di No soprattutto perché oggi tutte le persone pur di fare qualcosa, pur di non stare soli, eccedono facendo. Sono tutti stressati, stanchi. Si sta perdendo il contatto con il proprio corpo, con il proprio sentire. Ansia, stanchezza, dolori, li diamo ormai per scontati, ma non deve essere così. La verità viene sempre fuori nel momento in cui ci si ferma e si impara a dire No.

Un libro di Eugen Herrigel abbina Lo zen e il tiro con l’arco, perché il tiro con l’arco è pura disciplina e introspezione. Come sottolinea Valeria: “È la stessa cosa che avviene con il palo, per arrivare in cima è necessario partire dalle basi, dall’essenza”.

Il palo diventa così il tuo maestro, quello che a volte ti fa anche fermare, cadere a terra, ma lo fa perché la caduta serve, la caduta è parte del processo.

Cadere e rialzarsi, riprovare, migliorare, riuscire. Vincere.

È il percorso. È la terapia dei Divergens. Come un trasloco, direbbe Valeria Bonalume.

Egidio alagia

egidio alagia