Editoriale dicembre

L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL FINGERE.

Editoriale di: Antonio Incorvaia.

Benché insight e ricerche di settore spingano ormai da anni verso una comunicazione più autentica e attività di mercato più trasparenti, sempre più aziende investono in brand washing e propaganda anziché in un cambiamento effettivo del loro modo di pensare e di agire.

In principio fu che «a Natale siamo tutti più buoni».

Purtroppo non ci è dato conoscere l’origine esatta di questa value proposition, che ci incoraggia ad approcciare tavolate di parenti serpenti, maglioni di dubbio gusto e regali inutili con una clemenza che in altri giorni dell’anno forse non avremmo, ma per quel poco che ne sappiamo è sicuramente – dacché ci hanno insegnato cosa significa – la madre di tutti i brand washing. Perché di fatto, in cuor nostro, non diventiamo davvero più buoni: lo diamo solo a credere meglio.

Tant’è che poi, sulla stessa falsariga, è arrivato il momento in cui «siamo tutti più inclusivi», «siamo tutti più sostenibili» o «siamo tutti più purpose driven». Che, in fondo, è un po’ come sentirci sempre a Natale anche senza panettone, senza luminarie e, soprattutto, senza Mariah Carey.

La qual cosa, finché siamo singoli individui con i dovuti margini di fallibilità del caso, può anche ascriversi al novero delle “bugie a fin di bene“. E ok che non esistono dati statistici ufficiali su quanto sia il bene prodotto dal fingere di essere inclusivi, sostenibili e purpose driven nella nostra vita quotidiana (chissà se qualcuno che usa l’etichetta «purpose driven» nella sua vita quotidiana esiste, peraltro), ma in fondo ciascuno di noi, almeno una volta, ha dato una pacca sulla spalla a un amico in difficoltà pur volendo dirgli in cuor suo che stava sbagliando tutto.

Diverso, invece, è se siamo brand. Non semplicemente aziende, imprese, società, marche o “fabbrichètte del papy”: se siamo brand. Ovvero se abbiamo – o aspiriamo ad avere – un valore percepito oltre a quello di mercato e un’identità sociale oltre a quella commerciale.

In tal caso, le bugie a fin di bene non sono più altrettanto tollerabili. O meglio: non sono più altrettanto tollerate. Ma non solo da quei quattro leoni da tastiera che, non avendo niente di meglio da fare, sfogano il loro odio contro qualunque malcapitato di turno e lasciano (ragionevolmente) il tempo che trovano, no: da milioni di persone in ogni angolo del mondo.

Se già non se ne fosse parlato a sufficienza anche prima, infatti, a partire dall’emergenza pandemica il tema del brand washing ha iniziato a diventare sistemico tanto nella letteratura di settore quanto nella coscienza critica del pubblico. Il quale non è più disposto – o non è più così disposto – ad accettare propagande e speculazioni spalmate come stucco sopra a modelli di pensiero e di azione che a fin di bene non hanno che il proprio interesse economico.

L’ecologia (greenwashing), la parità di genere (pinkwashing), il supporto alla comunità LGBTQ+ (rainbow washing) e gli intramontabili miti del cambiamento e della salute: ogni “giusta causa” sembra utile per promuovere iniziative di real time marketing che nascono da un brief su Power Point – «Vogliamo comunicare il nostro impegno in materia di sostenibilità.» «Ma cosa state facendo in materia di sostenibilità?» «Per adesso niente: pensavamo di adottare un albero ogni 10.000 prodotti venduti, ma questo dovete dircelo voi.» – anziché dalla volontà di sganciarsi dalle logiche tradizionali di conversione per abbracciare strategie evolutive di mindset, di processi e di responsabilità. Investendo, tra l’altro, capitali esponenzialmente superiori a quelli che sarebbero necessari (e sufficienti) ad attuare strategie evolutive di mindset, di processi e di responsabilità.

La ragione per cui, nonostante tutti gli insight di settore convergano verso un’urgenza stringente di autenticità, credibilità e trasparenza, molti brand continuino a preferire la strada opposta e ritengano più remunerativo imbiancare una parete piuttosto che piantare un germoglio, è tuttora ignota. Quel che è certo, però, è che Babbo Natale di brief di brand washing su Power Point ne riceverà parecchi anche quest’anno.

E l’augurio più sincero che ci sentiamo di rivolgere a chi se li vedrà recapitare è di disfarsene alla tombolata di Santo Stefano come per qualsiasi altro regalo inutile.

Antonio incorvaia

Antonio Incorvaia