Martina Borsato

MARTINA bORSATO: LA VITA COME COMPETENZA.

Research & Innovation Senior Analyst @Lifeed

Intervista di: Valentina Maran.

Martina Borsato, a sua insaputa, mi ha fatto prendere una decisione importante. Glie l’ho comunicato durante questa intervista.
È merito suo se ho detto di sì a quello che per me è stato un cambiamento piccolo ma fondamentale per la mia autostima.
Ma ovviamente, come insegnano le migliori tecniche narrative, col cavolo che mi brucio subito la notizia nelle prime righe.
Quindi ecco com’è andata.

Prima di ogni pezzo mi informo sempre sui protagonisti e sulle protagoniste della chiacchierata, e di Martina ho letto un’intervista interessante sul ruolo delle madri e di come cambiano e si arricchiscono le competenze.
Le chiedo proprio di questo: di quanto pesa addosso, quanta aspettativa c’è sulla maternità e perché.
Domandona! Mi risponde lei – siamo davvero libere di scegliere come, quando e se diventare mamme e anche in che modo esserlo?
Mi sono resa conto che questa libertà è spesso limitata o comunque, sul ruolo della mamma ci sono delle narrazioni che ci vengono cucite addosso, e a cui spesso sentiamo di dover aderire a tutti i costi. A volte è difficile, in questo insieme di aspettative e narrazioni imposte da altri, fermarsi e dire ok, ma qual è la mia narrazione di maternità?

Martina mi racconta che è diventata mamma a 23 anni durante l’ultimo anno di università, lavorava da poco e si doveva laureare. È stato un evento inatteso, il primo elemento di discontinuità in una vita che fino a quel momento era stata abbastanza lineare.
Il suo è stato un cambio di visione proprio grazie a questa maternità “fuori dagli schemi temporali classici”.

Dicevo, “come è possibile che ancora oggi tra maternità e desiderio di crescere professionalmente dobbiamo per forza scegliere?”
Ricordo questo commento riferito alla mia prima gravidanza, detto da un amico: “Pensavo che tu avessi progetti per il futuro“: una frase che suonava come una condanna a morte.
Il mito della mamma è spesso associato al concetto di sacrificio. Io ho sempre cercato di vederla, invece, come una cosa in più, che allargava la mia identità, che allargava chi sono io, qualcosa che mi aiutava a definirmi meglio in un altro modo, anche nuovo.

Secondo Martina il cambio di narrazione arriva anche attraverso il ruolo della società e dei padri, che devono giustamente pretendere una definizione più organica del proprio ruolo

Le aziende, le organizzazioni, le PMI, possono fare la differenza e iniziare a smontare la narrazione secondo cui “maternità = battuta d’arresto della carriera”.
Sono ottimista
– prosegue Martina – l’azienda in cui lavoro adesso è nata da un libro che all’epoca era stato rivoluzionario, scritto dalla nostra fondatrice, Riccarda Zezza “La maternità è un master” . Un messaggio molto potente, immediato e dirompente. A quasi un decennio dalla sua pubblicazione continuano a scriverci donne stupite positivamente da un messaggio che oggi dovrebbe essere quasi scontato, banale. Invece affermare che la maternità è un’occasione di crescita fondamentale per il mondo del lavoro e per la società in cui viviamo ancora oggi suona nuovo e rivoluzionario. Questo significa che c’è ancora molta strada da fare.

La maternità: un fatto ancora troppo femminile.
Martina mi parla anche dei dati post covid sui rientri dalla maternità, nota dolente della realtà italiana
Le dimissioni sono dovute perlopiù alle difficoltà di conciliazione vita-lavoro che pesano sulle spalle delle donne; gli uomini che si dimettono per lo stesso motivo sono una quota pur presente, ma comunque marginale. Sono dati che vanno a tracciare una storia collettiva.

Le faccio una domanda difficile: possiamo dire che continui a esserci uno squilibrio nella ripartizione delle responsabilità di cura tra donne e uomini? Ci vedo tanto una situazione di comodo, anche culturale.

Martina conferma che c’è un ostacolo culturale di fondo e chiarisce: fa comodo non ripensare a una società più equa, perché le donne stanno facendo compiti di cura e educativi enormi e lo stanno facendo gratuitamente. Questo vale per chi si prende cura dei figli, ma anche per coloro che si occupano dei genitori anziani o non autosufficienti: sono lavori non retribuiti che a volte raggiungono dei livelli orari di un part-time. I papà delle nuove generazioni vogliono davvero vivere attivamente la genitorialità, ma si scontrano spesso con un modello di paternità vecchio: c’è il timore su come verrà giudicato il desiderio di voler essere padri presenti. Ricordo la storia di un papà che aveva richiesto il congedo parentale al posto della propria compagna, ma diceva di essere stato guardato “come un marziano” dal proprio datore di lavoro.

C’è un’affermazione di Martina che mi affascina: avere molti ruoli non è dividersi ma moltiplicarsi. Però, esplicita, è una cosa diversa dal multitasking.

Il multitasking non esiste – prosegue lei – come competenza, perché nel fare più cose contemporaneamente si rischia di farle male tutte o con poca cura. Invece è più importante la capacità di scivolare in maniera molto rapida e libera tra un ruolo e l’altro portandosi dietro delle competenze. Avere molti ruoli infatti – per esempio essere genitori, professionisti, amici, sportivi o molto altro – è spesso dipinto solo come una fonte di stress e fatica, ma in realtà dà più molti benefici: ci fornisce delle occasioni di ricarica e di apprendimento. E lo dimostra la ricerca scientifica.

Fatti una vita. E ricaricati.

Martina mi spiega la teoria affascinante e motivante su cui si fondano le basi di Lifeed.
La forza non è resistere ma ricaricarsi.
Nei nostri molti ruoli ci sono dei benefici in termini psicologici: se abbiamo successo da una parte, l’energia positiva la portiamo dall’altra; viceversa, se ci capita una brutta giornata, possiamo trovare ristoro in un altro ruolo, con un’altra persona, in un’altra situazione, in un altro ambiente. Questo è il primo elemento di beneficio. Il secondo riguarda le reti di relazioni, perché più ruoli abbiamo, più grande sarà la rete intorno a noi, persone allenate su cui possiamo fare affidamento dal punto di vista pratico, emotivo, psicologico. A casa e sul lavoro.

È il multishifting: le competenze usate in un ruolo possono essere trasferite in un altro. Basta chiedersi: quante delle cose che sappiamo fare nella vita possiamo traferire al lavoro, e con i colleghi? E viceversa, quante delle cose che sappiamo fare in ambito professionale possono renderci più efficaci anche in altri ruoli, con altre persone?
“Fatti una vita” è il miglior augurio che si possa fare a una persona: avere una vita fuori dal lavoro ti rende più efficace anche sul lavoro pensiero si contrappone a tutto quello che ci hanno insegnato rispetto al mondo del lavoro fino ad oggi, dove la vita fuori è vista spesso come un’interferenza.

Con Martina rivaluto anche il concetto di tempo, che assume un valore diverso da quello che usiamo di solito.
Entrando nel mondo del lavoro il tempo diventa un’ossessione: quante volte ci chiediamo come trovare il tempo per fare tutto? A volte ci si vanta addirittura di non avere tempo. Ma il tempo per sua natura è finito; quindi, se ci concentriamo solo sul tempo a nostra disposizione, ogni ruolo della nostra vita sarà in potenziale conflitto con gli altri e avremo la sensazione che quel che si dà a uno verrà tolto ad altro. Invece, se ci concentriamo sulle energie e le competenze, il discorso cambia: perché le nostre risorse si possono moltiplicare, influenzare a vicenda e quello che imparo nella mia sfera personale può diventare utile sul lavoro, e viceversa.

Lifeed: la vita come competenza.
Martina mi spiega che Lifeed lavora su questo:
è un’azienda a impatto sociale che opera nel settore dell’Education Technology; con un metodo di apprendimento proprietario e dei percorsi di formazione digitale affianchiamo le aziende e le organizzazioni nel raggiungere degli obiettivi di sostenibilità che riguardano il benessere delle persone, il raggiungimento della parità di genere e la riduzione delle disuguaglianze.
Lo facciamo attraverso i percorsi digitali che aiutano i dipendenti delle aziende a trasformare tutte le esperienze di vita in opportunità di crescita e in sviluppo di competenze trasversali, che sono sempre più richieste dalle aziende e che fanno la differenza in un mondo sempre più automatizzato e digitale.
Travalichiamo la soglia dell’ufficio andando a vedere tutti i ruoli di vita, anche quelli extraprofessionali.
Il cambiamento che vogliamo portare avanti non è solo legato a politiche di conciliazione vita-lavoro: la nostra missione è riportare la vita nel lavoro, valorizzando le competenze che le persone usano fuori dalla dimensione professionale, grazie alle loro piccole o grandi rivoluzioni personali, come diventare genitore, cambiare casa o più in generale attraversare un momento di cambiamento.

La genitorialità è stato il punto di partenza: altro che uno stop nella carriera, i genitori lavoratori sono un’opportunità anche per le aziende: è come se le tue persone facessero un master immersivo: è fonte di competenze incredibili!

In una nostra ricerca abbiamo visto che ognuno di noi ogni giorno ricopre 5 ruoli di vita e di questi in media solo due sono ruoli che appartengono alla sfera professionale. Gli altri sono extraprofessionali, riguardano la famiglia, gli amici, gli interessi e le passioni personali e in questa sfera noi sviluppiamo e usiamo il 70% delle nostre competenze soft. È una quota enorme delle nostre competenze che diventa un’opportunità per le aziende: le competenze che cercano ci sono già, non vanno formate in aula da zero o cercate altrove. Le abbiamo e le alleniamo naturalmente nella vita di tutti i giorni.

Martina mi racconta che la sua maternità, arrivata in modo inaspettato, è stata la leva del cambiamento.
Ho prima scoperto e poi deciso che sarei diventata mamma. Mi chiedo spesso come sarebbe andata, se non fosse successo. Forse avrei seguito il corso considerato più ordinario degli eventi di vita: prima ti laurei, poi raggiungi la stabilità lavorativa ed economica, magari ti sposi e solo allora pensi se fare una figlia. Sarebbe stata una strada più libera? Non ne sono sicura.
La maternità è stata una rivoluzione personale in grado di influenzare tutte le mie scelte professionali dal quel momento in avanti ed è grazie a quella scelta se oggi ho la possibilità di usare il mio lavoro per prendermi cura anche solo un po’ del mondo intorno a noi.

La decisione che ho preso, dicevamo all’inizio, l’ho maturata incontrando le parole di Martina e si è concretizzata dopo questa chiacchierata.
Ho fatto la scelta di allargare il mio cerchio dei ruoli, dandomi la possibilità di essere qualcosa che ho sempre sognato.
Sono una ex eptatleta, sono stata specialista di prove multiple e una volta sono stata allenata in salto con l’asta da Vitalij Petrov, ex allenatore di Bubka.
Ho deciso di darmi la possibilità di condividere quello che ho imparato in più di 10 anni di agonismo ad alto livello.
Dopo aver conosciuto Martina ho deciso, e da quel giorno alleno i ragazzini e le ragazzine di una squadra di atletica leggera.
L’emozione più grande?
Vedere Gioele, un giovane atleta tutto dinoccolato, far tesoro dei consigli che gli ho dato, prendere la rincorsa e fare salto in lungo.
“sai- mi hanno detto gli altri allenatori- questa è la prima volta che arriva in buca”.
Se non è meraviglioso questo, non so cos’altro possa esserlo.

Martina, che la forza generatrice sia con noi!

VALENTINA MARAN

Valentina Maran