Diletta Pollice

Diletta Pollice: il riciclo veste bene.

Diletta Pollice, Founder di Appcycled

Intervista di: Valentina Maran

La prima cosa che noto di Diletta Pollice è la timidezza che però dopo pochi minuti diventa entusiasmo nel raccontare il suo progetto green: Appcycled è una piattaforma che propone abiti e accessori più che riciclati: upcycled appunto – non un semplice marketplace di seconda mano, ma un marketplace per designer che creano capi di lusso riutilizzando e rielaborando materiale di scarto.

Sin da ragazzina Diletta ha sempre avuto una grande curiosità per la moda, per il cucito, per le cose belle, originali e di qualità. L’interesse per la sostenibilità ambientale è sbocciato più avanti, nel 2018, quando durante un programma universitario di exchange a Shanghai si rende conto e tocca con mano il consumismo sfrenato nel campo della moda a basso prezzo.

All’inizio non era tanto attenta al tema green, e anche lei è stata presa dal turbinio di gadget, da questa specie di gioco produttivo teso all’infinito. Assolutamente senza senso e senza una visione del poi.
Lì, a Shanghai, c’è stato il primo campanello per la sua sensibilità, subito dopo è arrivato il lavoro in Napapijri e qui la svolta: ha visto progettare e produrre una giacca completamente riciclabile, cerniera compresa.

Diciamo che prima non mi ero domandata dove andassero a finire i residui che buttavamo – mi spiega – soprattutto non mi ero mai domandata perché i vestiti non potessero essere riciclati. Poi ho cominciato ad informarmi e sì, ho detto basta, ho cominciato ad approfondire leggendo libri e capendo i problemi.

Anche per Diletta il lockdown ha significato ripensare i propri consumi e soprattutto il proprio ruolo – lavoravo nel retail marketing – mi dice – arrivata la quarantena il mio lavoro era inutile perché i negozi erano chiusi, mi hanno messo in cassa integrazione per cui avevo tanto tempo libero. Volevo far shopping, vedevo un vestito che mi piaceva su Instagram e lo creavo con gli abiti che avevo, partendo da un vestito che non mettevo più. Ho cominciato a fare questo tipo di upcycling nel mio guardaroba. Poi man mano ho cominciato a interessarmi all’upcycling, sui social ho trovato designer esperti che già lo facevano, da lì è un po’ nato lo spunto.
All’inizio l’idea era molto diversa, prendevamo i vestiti dai clienti, li andavamo a modificare dai sarti, li ricreavamo, però poi una volta che ti metti veramente e consideri la parte logistica e i costi, ti rendi conto che l’idea non è così tanto sostenibile.
Ancora oggi stiamo cercando di rendere consapevole il cliente del perché del prezzo elevato dell’upcycling, del pezzo unico: è abituato al fast fashion dove una maglietta costa un euro.

Fast fashion e inquinamento
Per Diletta l’esperienza personale è il peso specifico che misura il reale: quando provi a tagliare e cucire come ha fatto lei per modificare, il fare ha un valore operativo oggettivo.

Quando ho cominciato a fare i vestiti pensavo “ma come fa a costare così poco?! Solo il tempo di tagliare e cucire ci metto le ore, il tessuto, il trasporto…“ Cominci a farti delle domande e ti rispondi che non è possibile. Ma sfortunatamente il cliente oggi è abituato a quello, si aspetta di pagare poco.

Diletta mi spiega lo switch su un modello di business più sostenibile economicamente e strutturalmente.
Le chiedo dell’onboarding, di come i designer di Appcycled vengono scovati e invitati a entrare a far parte della piattaforma –
In due modi, o sono loro che contattano noi, – mi dice – magari vengono ad un evento, oppure attraverso Instagram. O siamo noi che li scopriamo su Instagram, ormai sono molto targettizzata, solo se sfoglio mi appare moda l’upcycled. Diciamo che di base gli scegliamo un po’ su nostro gusto, perché vuole essere un marchio che vende un upcycling di alto livello, che non deve sembrare vintage: è un pezzo completamente nuovo, così il cliente non si confonde e capisce che il pezzo ha un valore aggiunto. Quindi li scegliamo in base al gusto, li contattiamo, o loro contattano noi, per sapere se sono interessati ad entrare nel marketplace, poi ci mandano le foto, noi prendiamo una commissione sulle vendite, quindi non ci perdono niente. Li presentiamo sui social e cerchiamo di aiutarli a vendere.

Appcycled è una startup che ha fatto tutto il percorso di incubazione classico.
Diletta mi racconta come ha preso vita il tutto:
Nel 2020 mi sono buttata su questa idea, ho cominciato a parlarne online in vari gruppi di startup, ho trovato il mio futuro social al quale piace la mia idea, ci conosciamo e decide di supportarmi nel circuito di talent garden, aveva fatto un master li, incontriamo quest’altra ragazza che aveva studiato fashion design a cui piaceva molto l’idea. Noi tre a luglio 2021 fondiamo la startup dopo due percorsi di pre-incubazione che ci hanno indirizzato. Di base la domanda che ti devi fare è “ qual è il problema che vuoi risolvere?” Cerca di validarlo, comincia a fare interviste con i tuoi interlocutori. Noi abbiamo iniziato a parlare con i designer, l’idea era sempre quella di avere un bel prodotto, abbiamo provato a fare i capi con i sarti ma non avevano un bel look and feel quindi abbiamo detto “ci deve essere il designer dietro”.
Vagliare, parlare con i tuoi interlocutori ti aiuta a capire come puoi risolvere il problema al meglio; quindi, abbiamo capito che loro avevano necessità di farsi conoscere, di fare un po’ rete, perché nell’industria della moda oggi, il 97% del guadagno è fatto da 20 aziende, quindi proprio molto monopolizzato. Hanno molta difficoltà ad emergere e farsi conoscere, perché competono con aziende che hanno degli investimenti in marketing notevoli: c’è proprio una community per designer di moda upcycled. Un altro bisogno che hanno evidenziato è la necessità di trovare il materiale da utilizzare, perché anche se ci sono tanti rifiuti non è così facile andarli a recuperare.

Le chiedo come viene recuperato il materiale che utilizzano o meglio, che ri-utilizzano
Ognuno ha un materiale molto specifico, c’è chi fa upcycling di tessuti vintage, quindi magari va a liberare gli armadi, da chi invece recupera nei magazzini delle grandi aziende i tessuti degli anni precedenti.
Noi cerchiamo di aiutarli quando qualcuno ci dice, “ho bisogno di un tessuto tipo lycra” perché voglio fare la collezione di costumi, quindi cerchiamo di contattare le aziende, però anche li non è semplicissimo perché ci sono i diritti sui disegni, su certi tessuti. Ci sono molti tessuti che o ci vengono donati o che compriamo a valori di magazzino a prezzi agevolati.

Trasformare fino all’ultimo filo
La citazione che ama è nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma. Le chiedo se è così fattibile con la moda? Quanta vita può avere un abito, un vestito?
Dare un numero è difficile – mi risponde – cerchiamo di recuperare sicuramente più i tessuti durevoli e non fast fashion Secondo noi si può trasformare in tante cose diverse, prima magari è un capo, poi se perde valore può diventare un accessorio, poi può diventare uno straccio, poi si può fare il down cycling e quindi diventare imbottitura dei palazzi o delle macchine. Questo finché non si potrà fare il riciclo totale: ad oggi si può fare con pochi tessuti, come il cashmere, il cotone.

Chiedo del target: chi compra i loro prodotti e perché.
Sono persone interessate al prodotto che ha una storia dietro, al prodotto unico, al contatto con il designer. Infatti, noi vendiamo molto meglio sui temporary store perché c’è il designer che racconta, un’esperienza che ad oggi il cliente non è abituato; invece, una volta c’era la sarta che te lo faceva e ti spiegava tutto. È un cliente che cerca quel tipo di esperienza per poterla poi raccontare, “che bel capo, questo ce l’ho solo io, ce ne sono solo 10, è fatto da…”

Diletta mi racconta di una parte del progetto molto interessante: è la collaborazione costruttiva coi grandi brand che magari nulla hanno a che fare con la moda:
Facciamo anche progetti con i brand, per cercare di recuperare i capi difettosi o scarti tessili e adesso stiamo facendo un progetto con una grande azienda energetica italiana: dobbiamo rielaborare le divise che altrimenti andrebbero buttate, saranno disegnate da APPCYCLED e poi prodotte da una sartoria sociale.

E allora visto che nulla si distrugge e tutto si trasforma, speriamo che anche questo articolo possa trasformarsi per lei e il suo Appcycled in una fonte di ottimi contatti.
Se siete un’attività che ha il green cucito addosso, è il momento di tessere una relazione con loro.
Daje!

Valentina Maran

Valentina Maran