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GIULIO XHAET: LE DOMANDE GIUSTE PER DIVENTARE GRANDE.

Giulio Xhaet, Partner & Head of External Communication di Newton.

Intervista di: Valentina Maran

Giulio Xhaet, Partner & Head of External Communication in Newton, mi è comparso davanti la prima volta mentre ero a letto, quella mezz’ora prima di dormire, quando spollici il feed di Instagram senza renderti conto che ti stai rovinando il sonno anziché agevolarlo.
Ricordo il suo viso e le cuffiette mentre intercettano la mia attenzione facendomi soffermare. e mi sono detta “domani devo ascoltarlo” rimandando al giorno dopo. L’algoritmo deve aver sentito i miei pensieri perché da quel giorno Giulio mi si ripalesa nel nel cellulare a orari vari con la copertina del suo libro, ed è proprio da questa che abbiamo cominciato la nostra chiacchierata.

Gli chiedo subito da dove gli sia nata l’idea e mi racconta che “Da Grande – Non è mai troppo tardi per capire chi potresti diventare” è il frutto di un lavoro di ricerca fatto negli ultimi 2-3 anni; si è reso conto che c’era una grande fame di capire qual è a strada che le persone possono prendere restando connessi alle proprie passioni personali, ai propri talenti.
Più che nel passato – mi spiega – anche per via della pandemia, le persone hanno avuto l’opportunità, di potersi fermare un attimo e chiedersi: “cosa sto facendo della mia vita? Cosa sto facendo, nel lavoro soprattutto, è qualcosa che mi caratterizza?.
Rispetto alle generazioni precedenti, le cose non sono più facili ma sono più fattibili. Siamo immersi nel digitale, nel social in cui è più facile cercare contatti di persone con cui posso scatenare delle connessioni. Questa immediatezza, a portata di un click, può scatenare delle cose sia molto belle che molto brutte. Sono amplificatori di inferni e di salvezza.

Gli amplificatori di inferni e salvezza

Giulio cita Sartre mentre mi spiega meglio cosa intende: Lui diceva “l’inferno sono gli altri” nel senso che quando gli altri diventano il parametro con cui giudicare noi stessi facilmente cominciamo a provare una grande ansia, un grande senso di inadeguatezza.
I social sono amplificatori in senso positivo e negativo.
Se li usiamo in questo modo sono amplificatori di inferni, ci permettono di essere a contatto con chiunque, di poterci paragonare a chiunque e di poterci sentire piccoli.
Quando eravamo ragazzini noi potevamo paragonarci al massimo al migliore della classe, adesso puoi paragonarti al migliore al mondo. E in questo caso pensiamo: “guarda questi che hanno fatto tutte queste cose e io non sono nessuno”.
Invece i social media li possiamo utilizzare per cercare degli spiriti affini, cercare delle persone che ci possono aiutare, cercare dei coach, dei mentori o cercare qualcuno che possiamo aiutare, con cui possiamo fare qualcosa di bello.

Nel libro spiega anche cosa sono le domande sterili e quelle generative. Gli chiedo di riassumermelo:
Le domande sterili sono quelle che, quando devi prendere una decisione, sono seducenti, accattivanti, ma quando provi a rispondere non c’è una vera risposta.
Quando hai in mente un progetto e ti domandi “sarò in grado di farlo?” questa è una domanda sterile perché finché non ci provi non lo saprai.
Le domande generative sono quelle domande che hanno due super poteri:
1 dipanano effettivamente la nebbia, fanno un po’ di luce rispetto a tutti questi dubbi e
2 ti portano a prendere un’azione che sia una o l’atra, ti portano a dire “basta con la litania di aspettare il momento giusto, perfetto”, perché il momento perfetto non esiste, non arriva te lo crei tu.
Le domande generative si chiamano così perché generano un’azione.
Nel libro c’è proprio un percorso fatto di domande generative che possono farsi un po’ tutti, che riguardano l’andare a capire qual è la mia vocazione e chi posso diventare nella vita.
Una delle domande generative del libro che possiamo chiederci è: “qual è la cosa più preziosa che puoi offrire agli altri?”
Se usiamo i social in questo modo, per creare questi legami, anche inaspettati, ecco che si trasformano in amplificatori di salvezza.

Un ex rocker sul palco di Instagram

Lo vedo molto a suo agio nei video, chiedo se deriva dalla sua trascorsa esperienza da musicista.
Sì, in parte sì, – mi conferma – deriva anche un po’ dal fatto di essere competitivo e ambizioso, Non sono un talento naturale, ed è una fortuna. Quando ero un musicista, avevo una voce mediocre e la capacità di suonare di un tacchino, ma mi piaceva molto e mi appassionava, e il talento l’ho allenato.
Per quanto riguarda i video è abbastanza simile: io sembro estroverso, in realtà sono ambiverso, dipende dai contesti. Ho imparato a gestire anche il mio modo di comunicare: ho notato che quando non c’è il talento naturale, ma c’è passione e ti interessa un argomento, quando arrivi a diventare capace, hai anche sviluppato inconsapevolmente un tuo modo di fare e di essere.

Gli chiedo in quale social si sente più a suo agio:
Il social che mi è più affine in questo momento è Instagram, andando anche un po’ per esclusione. Facebook è un po’ un terreno da boomer, c’è poca freschezza.
Twitter lo uso, ma per qualche motivo, per la grammatica di Twitter, la brevità, non è mai stato quello che ho preferito.
LinkedIn mi piace se non che la media delle persone che sono su LinkedIn sono un po’ incravattate, ingessate, anche proprio nelle risposte. Faccio un carosello uguale su IG e su LinkedIn, e i commenti che mi arrivano su IG sono più interessanti, più frizzanti, a volte più critici ma almeno vogliono dire qualcosa. Su Linkedin sembra che vogliano solo far vedere che interagiscono.
(Quindi siete avvisati, visto che questo contenuto andrà soprattutto su Linkedin, sbattetevi a scrivere qualcosa di costruttivo, critico o meno che sia.)
TikTok mi piace ma ci sto ancora prendendo la mano, perché è molto video based e secondo me sarà un innamoramento che arriverà con il tempo.

Parliamo di community: quella di Giulio conta numeri importanti. Voglio sapere com’è gestirla in prima persona e se riesce ancora a farlo.
Mi rendo conto che una community molto bella ed impegnativa, perché sono persone molto intelligenti, che ragionano molto sulle cose e fanno solo commenti che a volte mi stupiscono, che a volte mi contraddicono e hanno ragione loro.
Mi sono dato l’impegno di rispondere più o meno a tutti.
Ho pensato all’opzione “di far rispondere a qualcun altro che mi dia una mano, io però fino ad adesso sono sempre stato un po’ restio, perché il valore aggiunto è il contenuto che faccio: è creatività e ragionamento. Invece la riposta al commento è la mia empatia che è diversa da quella di qualcun altro.
Se deve rispondere un’altra persona va bene per le domande semplici, ma per domande complesse mi sentirei di prendere in giro.

Gli chiedo cosa gli ha permesso di diventare quello che è:
Ti darò una risposta che può sembrare retorica, ma in gran parte sono stati i miei fallimenti, ma penso come per la maggior parte delle persone che li sanno gestire. Ti dico, fuor di retorica, perché ultimamente il fallimento is the new resilienza:, tutti si riempiono la bocca di questa parola e sta diventando un po’ pompata agli steroidi, esattamente come la resilienza, che è una bellissima parola ma se la decontestualizzi, la banalizzi, diventa retorica.
Non ti sto dicendo che devi fallire, ma sicuramente più fallisci più imparerai.
Fallire fa male, fa soffrire, son cazzate che fa bene.
Non è vero che le persone brave sono quelle che non falliscono, quelle che non falliscono sono quelle che non rischiano. Magari hanno il sedere coperto o hanno la fortuna di non fallire mai, ma i più bravi sono quelli che a volte sbagliano e capiscono il loro errore. Sbagliando si impara, se tu impari dalle cantonate più grosse della tua vita allora puoi davvero imparare chi sei nei momenti difficili.
Quando ho preso la cantonata con la musica ho avuto l’opportunità di capire, soffrendo, che nei momenti in cui pensavo di diventare bravo diventavo anche arrogante e li ho facilitato alcune cose negative.
Sono diventato secondo me una persona che ha colto meglio le opportunità rispetto a prima proprio perché ho preso dei pali in faccia. Se ti prendi dei pali in faccia, ti fai delle domande e impari. Puoi fare il master di vita migliore che esista.
Fa soffrire un casino ma almeno è gratis.

Chiudiamo la call. Saluto il rocker della consulenza (spero gli piaccia essere definito così!) e penso che no, non credo proprio che parteciperà mai a una Fuckup Night. Però ha ragione lui: meglio farsi le domande giuste e smetterla di stare a logorarsi con quelle che ti tengono fermo.
Quindi inutile che resto qui a domandarmi “Faccio bene a pubblicare il mio primo reel sul mio canale?” per giustificare il mio stare immobile davanti all’imbarazzo. Non ha senso. Se non lo faccio non lo saprò mai. E allora Rock ‘n’ Roll!

Valentina Maran

Valentina Maran