SEBASTIANO ZANOLLI: DA "UNIVERSITARIO NAÏVE" A MANAGER

Sebastiano Zanolli, manager
e autore

Intervista di: Giada Bellegotti

“La mia prima disruption è arrivata presto, nel passaggio dalle scuole superiori all’università. Alle superiori ero uno studente in gamba, avevo capito il metodo per riuscire bene a scuola. Ma all’università non funzionava e io mi sono ritrovato a sentirmi un idiota”. Sebastiano Zanolli (www.sebastianozanolli.com) manager e autore – gli ultimi suoi libri sono “Guerra o pace” e “Post Social Media Era” -, all’epoca non sapeva che quel primo cambiamento nella sua vita, seppur nella difficoltà, lo avrebbe portato lontano. “Tentavo di far funzionare un gioco nuovo con le regole del gioco vecchio. Mi ci è voluto un anno per rimettermi in carreggiata”, racconta. Completa gli studi in Economia e commercio, inizia a lavorare come commerciale. “Ho fatto il venditore, sicuramente quella è stata la mia palestra più importante”.

Sebastiano, perché il campo della vendita è stato la tua scuola?

“Lavorare come venditore insegna tantissimo. Perché non basta applicare un metodo. Entrano in gioco tante varianti che quasi sempre sfuggono al tuo controllo. Puoi applicare tutti gli schemi che vuoi, ma il cliente può darti un numero infinito di risposte”.

E se si guadagna a provvigioni può essere difficile da accettare.

“Accettare che non tutto può sottostare a delle regole è stato fondamentale per la mia formazione. Non puoi mai avere la certezza che quella cosa darà il risultato sperato e devi metterlo in conto. Questa cosa mi è rimasta addosso per tutta la vita”.

Poi arrivi in Diesel.

“Era il ’95. Ero stato assunto come brand manager. Diesel era un’azienda pazzesca. Aveva cambiato tutte le regole del gioco e non sbagliava un colpo. Lavoravo con professionisti che erano dei veri visionari”.

Hai lavorato al fianco di Renzo Rosso, fondatore del marchio.

“È stato un gran maestro. Stando vicino al signor Rosso acquisisco la consapevolezza che non c’è un modo di avere successo ma puoi fare tutto quello che gli altri dicono di non fare e lasciare tutti indietro”.

Nella tua carriera la perseveranza ha giocato un ruolo importante.

“Sognavo di lavorare lì. Ogni anno mandavo un curriculum che puntualmente veniva rigettato. Poi un anno capita che un amico viene chiamato per il colloquio da una società di selezione che operava per Diesel ma alla fine decide di non andare. Ci vado io al suo posto, senza nemmeno avvisare. Alla fine mi hanno assunto”.

Hai praticamente trascorso in Diesel 25 anni della tua vita.

“Sì, anni che hanno profondamente influenzato il mio modo di vedere le cose. Ancora oggi, a 58 anni, il tempo trascorso in Diesel ha una forte influenza su di me”.

Oggi aiuti individui e team a raggiungere gli obiettivi mantenendo l’umanità. Ma che cosa ci vuole oggi per fare la differenza in un’azienda?

“La pandemia e eventi politici importanti come la guerra hanno rotto quella narrativa che con la quale abbiamo vissuto negli ultimi 30/40 anni, che vede l’azienda come una famiglia. Era una narrativa falsata: tante aziende per salvaguardarsi hanno licenziato persone appena hanno potuto, alcune in buona fede altre no. Si è consumata una specie di separazione tra le parti sociali, ed è un po’ come quando si consuma una relazione con un partner: è scomparsa la fiducia. Sarebbe bene ritrovare un’unità necessaria, che giustifichi i differenziali di stipendio, di status e di responsabilità, aspetti che più che mai oggi creano divisone. La mission è trovare una nuova comunione di interessi facendo leva sugli interessi globali, come la sostenibilità. Le aziende devono passare ora da una narrativa manipolatoria a una narrativa sostenibile vera. Come profetizzava Olivetti, servirebbe un’azienda comunità”.

GIADA BELLEGOTTI

giada bellegotti fdo