Daniela Farnese

Daniela Farnese: “Le mie disruption, le mie rinascite”

Daniela Farnese, scrittrice

Intervista di: Giada Bellegotti

Daniela Farnese è tantissime cose. È un’arabista ed ebraista. È l’ex dottoressa Dania, di dottoressadania.it. È una nota scrittrice, una mamma, è una copy. Oltre ad essere Daniela Farnese, una donna (avevamo dimenticato un aggettivo) e una storyteller (non potevamo perdercene un altro).

Ha cambiato vita tante volte. “Ho preso tanti “treni”, ne ho persi altrettanti. Sono fallita, mi sono rialzata. Ma la cosa bella è che ad ogni mia disruption ho avuto una rinascita”, mi racconta l’autrice di Via Chanel N° 5, il romanzo che le ha regalato la notorietà e una vita che mai avrebbe immaginato. Nel bene e nel male.

Daniela, qui amiamo parlare di disruption, quel momento della vita in cui tutto cambia. Qual è stata la tua disruption?
“Ne ho avute tante, almeno tre. La prima disruption è stata 15 anni fa circa, quando ho aperto il blog Malafemmena, in epoca pre-social. Mi ha dato una notorietà improvvisa e spiazzante. Per farla breve, mi ero creata questa sorta di alterego sul web. Raccontavo storie di precariato, lavorativo e sentimentale, e mi firmavo come Dottoressa Dania. Non è passato molto prima che qualcuno si accorgesse di me”.

Una cosa nata del tutto per caso.
“Io – forse non si direbbe – sono un’arabista ed ebraista. Ho studiato altro insomma, ma ho sempre amato scrivere – diari, lettere di carta. Il blog è stato un naturale sfogo di questa mia esigenza di esprimermi con la scrittura. Ma mai avrei pensato potesse diventare un lavoro”.

Il tuo blog fece clamore: parlavi di sentimenti in maniera quasi aggressiva, in un periodo in cui non se ne parlava ancora così apertamente.
“Parlavo di libertinaggio, precariato lavorativo – che io lavorando in università conoscevo bene – e sentimentale. Giocavo molto su questa cosa e piaceva. Tanto che mi iniziarono a contattare magazine femminili, quotidiani che mi chiedevano commenti”.

La cosa prende piede, tanto che decidi di mollare l’università.
“Chiudo con i contratti di collaborazione con l’università e finisco a lavorare in una produzione cinematografica a Venezia. Puoi immaginare cosa significhi per una ragazza giovane lavorare su un set internazionale. “Ma che me frega a me della pace in Medioriente, io voglio fare cinema!”, mi dico. Insomma, scelgo la leggerezza. Dal cinema poi sono passata a organizzare eventi”.

Lavori, continui a scrivere e ad un certo punto arriva l’offerta di un editore.
“Il mio lavoro mi piaceva ma, parliamoci chiaro, in media prendevo 1200 euro al mese. Erano pochi anche all’epoca. Quindi quando il primo editore mi contatta inizio a immaginare un’altra carriera. Giovane e incosciente, mollo tutto e mi trasferisco a Milano. Senza, ovviamente, nessun progetto per il futuro”.

Però le occasioni a Milano non mancano.
“Al primo libro ne seguono altri. Soffro per amore e questo aiuta molto, perché diciamocelo: se non soffri per amore, scrivere di sentimenti è dura. È quando soffri che nascono le idee più romanzabili”.

Hai così tanto successo che finisci anche nei salotti dei talk tv.
“All’inizio non mi sembrava vero. Saltavo da uno studio all’altro, da un evento mondano a un altro. Poi piano piano ho iniziato a rendermi conto che soffrivo particolarmente quel dover sempre essere coerente con il personaggio che mi ero creata. Era un personaggio, appunto, non ero io”.

Hai iniziato a vivere di scrittura, una cosa che non avresti mai immaginato fino a qualche anno prima.
“Sì, la scrittura aveva trasformato la mia vita. Dopo vari romanzi sentimentali, però, ho iniziato a maturare l’idea di poter fare anche altro. Qualcosa di più articolato. Volevo raccontare storie più vicino alle mie corde. Volevo una narrativa in cui i sentimenti e le relazioni non diventano il centro della storia ma qualcosa che accade. Intanto pubblico un nuovo libro, con mia grande frustrazione però, perché dopo vari rimaneggiamenti era diverso da come me l’ero immaginato”.

Insomma, non ne potevi più e volevi cambiare.
“Io sì. E l’ho detto all’editore. Lui no, però. Ecco: all’improvviso, tutto finito”.

Oltretutto nel frattempo rimani incinta.
“Rimango incinta e in quel periodo di profondo cambiamento decido di prendermi una pausa da tutto. Pensavo potesse durare poco, invece no. Nasce mio figlio, cambio io come persona: con la maternità diventi più empatica, sensibile, cambiano le idee, gli argomenti. Smetti di andare alle feste e arrivano sempre meno richieste di lavoro. È stato un momento difficile, anche a livello monetario”.

Che fai a quel punto?
“Comincio a fare la copy nella pubblicità. Negli anni avevo comunque fatto altri lavori: la ghostwriter, la sceneggiatrice di serie tv, web series, libri a fumetti, graphic novel. Così decido di farne il mio mestiere principale. Ed eccomi qui, è così ancora oggi”.

Però so che hai un libro nel cassetto.
“Un paio di anni fa la mia agente è tornata a bussare alla mia porta. Il caso ha voluto che io avessi appena buttato giù 20 pagine di un nuovo libro. Dovrei finirlo a breve. Ora spero che arrivi anche questo terzo treno e che mi porti fortuna”.

Come hai vissuto il tuo fallimento?
“Il fallimento fa davvero schifo. Insegna qualcosa eh, per carità, ma i fallimenti sono tremendi non prendiamoci in giro. Una cosa va detta: per mia esperienza, a ogni disruption corrisponde una rinascita”.

Ma adesso il sogno qual è?
“Aspetto l’ultima disruption, quella totale: vincere al Superenalotto e vivere di rendita per il resto della mia vita”.

GIADA BELLEGOTTI

giada bellegotti