A NESSUNO PIACCIONO I FALLIMENTI, MA A NOI SÍ.

Racconti di insuccessi e cadute alle Fuckup Nights.

Articolo di Marzia Paganini (PR & Event Assistant, theZENagency).

A NESSUNO PIACCIONO I FALLIMENTI, MA A NOI SÍ.

Messico. Anno 2012. Alcuni amici riuniti davanti a dei bicchieri pieni di tequila. Si dice che è stata la tequila a far scattare la scintilla. Da quel momento è nata la prima idea di Fuckup Nights, ciclo di eventi che raccontano i fallimenti. Se la maggior parte delle volte vengono raccontati i successi e le vittorie, qui si rivela il rovescio della medaglia: le cadute, gli insuccessi, gli sbagli.

Molti anni dopo, questo ciclo di eventi esiste ancora, anzi, si è allargato a macchia d’olio in tutto il mondo. Perché i fallimenti, che lo si voglia o no, accomunano tutti, nessuno escluso. A Milano la padrona di casa di questi spettacoli è Montserrat, Montse per gli amici. Il 21 ottobre in BASE Milano c’è stato l’ultimo di questi eventi. Ed è stata una serata speciale perché proprio in quei giorni si festeggia il sesto compleanno delle Fuckup in Italia. Protagoniste della serata tre persone, accomunate da nulla se non – indovinate un po’ – i loro fallimenti.

La prima a prendere il microfono è Giorgia Benusiglio, una ragazza che ha fatto un solo sbaglio, solo uno, ma uno bello grosso. Quando aveva 17 anni ha assunto mezza pastiglia di ecstasy. Buio. Perché poi è iniziato il buio nella sua vita. Un intervento durato 17 ore, un trapianto al fegato, un mese e mezzo in terapia intensiva e la speranza di vita tra i 5 e i 7 anni. Ora è costretta ad assumere ogni giorno un farmaco salvavita e fare i conti con un cancro. Dopo essere uscita dall’ospedale e aver avuto un periodo di autocommiserazione mordendosi le unghie per aver preso quella dannatissima mezza pastiglia, ha deciso di smetterla di piangersi addosso. Ha capito che aveva un grande potere: purtroppo “grazie” al suo errore, avrebbe potuto aiutare gli altri. Ha avuto la forza di iniziare un percorso di crescita con il padre, si è iscritta all’università ed è diventata testimonial prevenzione contro l’uso di sostanze stupefacenti raccontando la sua storia nelle scuole, nelle carceri e nei centri di recupero. “Io non smetto. La vita è uno sballo” è il suo libro. Ma è anche ciò che Giorgia continua a fare: non smette di aiutare i ragazzi che si trovano di fronte a uno bivio, prendere la pasticca che hanno in mano o scegliere la vita. Perchè lei avrebbe voluto incontrare una come se stessa quando era giovane, a guidarla in quel momento e a dirle che la vita è uno sballo, sì, ma senza quelle maledette pasticche.

La seconda storia è quella di Giulia Capodieci e del suo “Wonder Way”. Chi sono Giulia e Wonder Way? Giulia è una giovane ragazza milanese e Wonder Way è il nome della sua idea. Giulia aveva il sogno di creare un progetto tutto suo, e stava anche funzionando, ma qualcosa è andato storto quando le sue socie le hanno messo i bastoni tra le ruote. Quasi nel senso letterale dato che il progetto consisteva in un bike tour per le zone meno conosciute della città meneghina, una lenta passeggiata tra le vie di Milano, scoprendo le bellezze nascoste e conoscendo gli altri partecipanti dell’iniziativa. La sua idea di progetto si è fortificata quando, nell’estate, lei e le sue compagne di avventura hanno deciso di girovagare per la Puglia ammirando i suoi paesaggi, sempre a bordo delle loro bici. Le socie però non condividevano il suo stesso pensiero, il loro sogno era diventare tour operator organizzando viaggi “fighetti e mainstream”. Al ritorno dal loro viaggio le idee si fanno sempre più discordanti. Dopo una riunione di brainstorming – se così possiamo definirla – in cui le socie la escludono dalle decisioni del progetto e una mega litigata su Whatsapp, la soluzione è quella di dividersi e… Ognuno per la propria strada! Da quel momento di Wonder Way non se ne è più parlato. Ma Giulia ha imparato alcune regole fondamentali: innanzitutto il team è la parte più importante e si possono raggiungere dei compromessi per la riuscita di un progetto, ma allo stesso tempo quel progetto è un continuo evolversi (spoiler: non sarà mai come lo hai immaginato in partenza). E infine che non bisogna mai smettere di allenarsi alla meraviglia, ancora meglio se in sella alla propria bici, girovagando per le stradine nascoste della sorprendente Milano.

L’ultimo ospite della nostra Fuckup è Massimo Temporelli, fuckupper eccellente. È arrivato dicendo che avrebbe parlato di tutto tranne che dei suoi fallimenti. Quanto ci piace quando gli ospiti non rispettano le regole! E allora ecco la storia della sua vita. Massimo è figlio di persone semplici, suo nonno e suo padre erano fabbri, ma con una grande etica del lavoro. In cuor suo però sa da sempre che non è destinato a una vita da artigiano. In prima superiore viene rimandato in matematica, e non solo passa l’estate senza aprire libro, ma sbaglia anche il giorno dell’esame di recupero a settembre. Viene bocciato e i professori gli consigliano di cambiare scuola, di iscriversi a qualcosa più nelle sue corde (ndr: una scuola più facile) come l’ISEF, in cui non conta tanto spremere la materia grigia ma più i muscoli. Nessuno crede nelle sue capacità, lui invece sì. Finisce la scuola con un rispettosissimo 7 in pagella, e contro il volere della famiglia decide di iscriversi all’università. E per di più nella facoltà più sfidante per lui: fisica. Una via di mezzo tra filosofia e ingegneria, non esattamente una passeggiata, ecco. Per suo padre fu una delusione ma per lui la scelta più giusta e saggia della sua vita, ma arriva un momento della propria vita in cui bisogna disubbidire alle regole che ti vengono imposte e istituire le proprie. Si laurea in fisica – alla faccia del professore che lo aveva bocciato in matematica alle superiori – ma è convinto che la carriera da ricercatore chiuso in laboratorio non faccia per lui. Vuole fare il divulgatore, occuparsi di storia della scienza, interessarsi di come funzionano gli oggetti dal punto di vista antropologico. Ottiene il posto da curatore nel Museo della Scienza e della Tecnologia. Ci lavora per 10 anni. Bellissimo periodo, ma dopo 10 anni sente che quella realtà non gli appartiene più. Si licenzia e non si lascia fermare. Inizia a lavorare per grandi brand, importanti e prestigiosi. Lui però non è nato per fare quello, lui vuole creare, sperimentare, buttarsi in nuove sfide. Dopotutto ce l’ha scritto nel DNA, suo nonno, artigiano, fabbricava oggetti in metallo. Così nel 2012 fonda la sua startup “The Fab Lab“, un vero laboratorio (artigianale, come quello del nonno) in cui si creano dal nulla pezzi di plastica con stampanti 3D. Un lavoro che assembla le sue passioni per la fisica, l’elettronica e l’imprenditoria e che racchiude il suo motto: imporsi una vita senza errori è un errore e puntare su se stessi non è mai un fallimento ma una scelta necessaria.

A quando il prossimo appuntamento sul palco delle Fuckup Nights? Quando la padrona di casa troverà altre storie di fallimenti da raccontare (tranquilli, vi avviseremo in tal caso).

Marzia Paganini