AFTER THE (SHIFT) STORM.

18 marzo 2021, LIVE Streaming

Con Egidio Alagia, Chiara Bacilieri, Riccardo Bovetti, Francesca Toninato e Sebastiano Zanolli.

CHI HA PARLATO.

AFTER THE (SHIFT) STORM.

Il Milano Marketing Festival per noi è ormai una tradizione. Cinque giorni di conferenze dedicate al brand activism e al purpose del business, parole chiave per l’after 2020.

Puoi rivederti l’evento qui: https://bit.ly/3pENHKW 

Sostenibilità, riciclabilità, inclusione, gender gap. Queste sono alcune tematiche che ultimamente stanno a cuore non soltanto ai consumatori ma anche ai marchi stessi. Sì, perché l’attivismo sociale è diventato uno tra i valori fondamentali che ogni Brand deve avere quando è sul mercato. Se prima il prendere posizione rispetto a temi etici era considerato un plus che aggiungeva prestigio all’azienda, ora è diventato una prerogativa necessaria.
A dire la loro a riguardo abbiamo chiamato Francesca Toninato, Global CEO di 7 For All Mankind, e Sebastiano Zanolli, manager e advisor di aziende come Diesel e Adidas, per un grande ritorno a FDO dopo la data del 2020.

Aziende come queste, che appartengono al mondo fashion, si basano sul produrre capi effimeri, che “nascono e muoiono” in base alla stagione. E allora come possiamo fare per essere sostenibili, cioè avere il minor impatto dannoso possibile sull’ambiente?

Francesca ci risponde: “7 For All Mankind innanzitutto si pone queste domande: cosa facciamo, come lo facciamo e perché lo facciamo? Bisogna trasformare la sostenibilità e l’attivismo nel messaggio principale. Questi temi devono diventare il “come facciamo le cose”, ma non devono diventare “il cosa facciamo” perché si rischia di perdere credibilità. Il brand deve rimanere autentico. “Il cosa” e “il perché” rimane coerente. Non bisogna cambiare la mission, ma è fondamentale il modo sostenibile in cui si produce. Così l’impatto sull’ambiente è minimizzato”.

E forse il punto è esattamente questo: bisogna rivoluzionare il processo produttivo in modo più etico e sostenibile, ma non si deve mai perdere di vista, né tantomeno cambiare, l’anima dell’azienda.
Ma fare Brand Activism non significa solo essere attenti nei confronti dell’ambiente e ridurre l’impatto che abbiamo su di esso. Dobbiamo ricordarci che ogni azienda è formata da un team, da persone che lavorano al suo interno verso un obiettivo comune. Allora probabilmente prima di preoccuparci degli effetti che il brand provoca all’esterno, dobbiamo guardare la struttura e le dinamiche interne.

Sebastiano in merito sostiene: “Il brand activism come scelta etica e concettuale ha dei costi rilevanti che cadono anche su chi ci lavora. Ci sono vincoli che implicano più sforzi. Ci sono persone che erano presenti da prima, non tutti sono adatti a una nuova scelta. Non basta solo il team di lavoro, anche le persone ci devono credere. Non basta avere la mission, se non c’è rispetto e coerenza a livello del team, se non c’è equità o parità di genere”.

La soluzione allora quale potrebbe essere? Prima di tutto è necessario partire dai fondamentali: bisogna chiarire il purpose e la mission dell’azienda, che devono sempre rispecchiare ed essere autentici rispetto al suo dna, e in seguito impegnarsi nel perseguire (e comunicare) quei valori nei quali si crede e per cui si lotta. Soltanto in questo modo ci potrà essere coerenza tra identità del brand e immagine percepita all’esterno.

Ringraziamo Francesca Toninato, Sebastiano Zanolli, Paul Renda, Chiara Bacilieri, Riccardo Bovetti e Domenico Ioppolo per la chiacchierata e per gli interessantissimi spunti di riflessioni.